LE MASCHERE DI UN PAGLIACCIO TRISTE

Quando finisce una storia, specie se è finita male, sarebbe meglio passare del tempo da soli.

Quando la mia storia stava finendo, quando mi sono accorta che il mio lui non era innamorato di me ma del sesso e della pornografia; quando ho deciso che volevo smettere di essere il suo oggetto anzichè la sua donna; quando ho scelto di valere di più di un bel culo e tacchi a spillo da fotografare e mostrare agli sconosciuti…ho fatto il tremendo errore di cadere dalla padella nella brace.
Non ho saputo ascoltarmi e darmi tempo perchè ero troppo distrutta emotivamente, e sono caduta nelle braccia di una persona che non era assolutamente giusta per me.
In un momento della mia vita in cui ero fragile e senza alcun briciolo di autostima, mi sono chiusa tra le braccia soffocanti di una persona che manipolava ciò che ero, affinchè credessi di non meritare di meglio.
Così non ho visto quello che succedeva dentro e fuori me.

In meno di un mese mi sono trasformata da bambola, quale ero prima, a mostro per i miei occhi.
Mi sono rasata a zero i capelli, ho cominciato a non curarmi più e sfogavo la mia rabbia repressa contro tutti coloro che, invece, si volevano bene.
Stavo con una persona che aveva “ideali” completamenti opposti ai miei.
Era razzista, fascista, sessista, possessivo, egoista, dipendente dai soldi dei genitori, bugiardo in maniera patologica (non lo sto dicendo per denigrarlo, lo stesso avvenimento aveva almeno quattro versioni diverse se raccontato in quattro momenti diversi della giornata; non riusciva più a controllare le bugie, nemmeno nelle risposte più semplici: chiamava sua madre e chiedeva “sei a casa?” e lui “no, sono al bar” mentre invece era a casa, accanto a me; si fingeva altro da ciò che era per accomodare il parere del prossimo, mentiva sempre su tutto, passato, presente e futuro,dagli studi fatti  fino a raccontare avvenimenti assurdi, come improbabili vittorie di gare di bevute o omicidi in gioventù) e giocava a fare la parte del “cattivo” perchè tanto i “cattivi” sono furbi, e “il mondo è dei furbi”.
Indottrinato fin da bambino alla menzogna, alla prevaricazione sul prossimo, alla ricerca del modo migliore per truffare gli altri pur di scampar vittoria, al dio denaro che tutto governa.
E io ero cieca.
Cieca a me stessa, figuriamoci a lui.
Una volta ho persino detto a mia madre “se è questo quello che mi merito dalla vita, allora va bene così.”
Ero disullusa, debole, troppo debole per guardarmi allo specchio e amarmi, senza buttarmi via in una relazione pesante, nera, marcia, che mi stava logorando e spegnendo sempre più.
Rimanevo zitta quando lui minacciava, quando lui urlava, rispondevo poche volte e in maniera sconnessa, magari urlando, ma senza dire ciò che pensavo perchè terrorizzata dall’idea di perderlo.
Perdere cosa? Direte voi.
Facile dirlo da fuori, quando ci sei dentro non sai capirlo, perchè non capisci e non ami te stessa.
Finchè lui lavorava, le cose andavano mediamente bene, il mio spegnimento, la mia sottomissione era controllabile e poco visibile da fuori, a parte alla mia famiglia, che mi pregava in tutti i modi di andarmene da quella casa perchè, nonostante io non raccontassi nulla, loro vedevano in cosa mi stavo trasformando : nel fantasma di me stessa.
E il fantasma di me stessa credeva di essere felice così.
Poi lui perse il lavoro e cominciarono i problemi più seri.
Non lavorava, non faceva nulla per trovare lavoro -non ha stampato un solo curriculum in tutto il tempo in cui cercava un impiego-, passava le notti a fare i tornei ai videogiochi online, i giorni a dormire, perchè era “troppo stanco” e le domeniche a giocare a softair con gli amici (tutto spesato dai suoi)
I suoi genitori gli facevano la spesa e gliela portavano a casa quando io ero al lavoro, per undici ore al giorno, a 50 chilometri lontano da casa, tutti i giorni.
Trovò un solo lavoro, ma era troppo “umile” troppo “da popolino” per lui, così si licenziò dopo nemmeno due settimane e qui ci fu la prima, vera litigata in cui la mia esasperazione e i miei 49 chili raggiunti in poco tempo (perchè non c’erano soldi e io mangiavo solo mele) mi portarono dire davvero la mia con lui e a telefonare, tremante e in un momento in cui ero sola, a mio padre.
Mio padre, con il quale il dialogo non c’era mai stato. Un padre assente per tutta la mia adolescenza. Un padre che mi si è riavvicinato solo a 17 anni quando sembrava stessi per morire.
Un padre che ho ricercato e forse riscoperto quel giorno quando gli ho chiesto, perfavore, di tenere pronto il furgone, che da lì a qualche mese l’avrei chiamato per andare via, e avrei dovuto farlo in fretta perchè avevo paura.
Di mesi poi ne sono passati molti più di quanto pensassi.
Mesi in cui le litigate erano condite di whisky o vino, lui era sempre ubriaco quando si parlava “seriamente”.
“Sei pazza come tua madre, sei un’ingrata perchè i miei ci aiutano a pagare le bollette (aspetto vero questo, non posso dire nulla, i suoi sono sempre stati gentilissimi e disponibili ad aiutarci economicamente, anche se sono convinta che in realtà fosse un sistema per non staccare il cordone ombelicale del figlio) e tu usi i loro soldi, sei un’approfittatrice. I tuoi genitori sono degli stronzi perchè non ci danno soldi, tu sei una stronza come loro. Ti meritavi la vita di prima, ti meritavi quello che ti usava come una puttana perchè questo sei. Quanto mai ho lasciato la mia ex, almeno lei la casa la puliva e stava zitta.”
Queste solo alcune delle belle parole.
Non si faceva più l’amore, forse non si faceva nemmeno più sesso. Semplicemente mi svegliavo nel cuore della notte con lui addosso, con lui dentro, che finiva e mi lasciava lì.
Quando litigavamo urlava come un pazzo, le vene al collo e in fronte; lanciava oggetti, i miei per la precisione, fuori dalla finestra o contro i muri; si faceva trovare disteso in pozze di vomito e sangue quando tornavo a casa dal lavoro; mi tirava, mi stringeva quando litigavamo, anche se le mani addosso non me le ha mai messe nel senso più esplicito, nell’ultimo episodio delle nostre litigate però passò il limite schiacciandomi ripetutamente e intenzionalmente la mano, fin quasi a spaccarla, dentro lo stipite della porta che cercavo di aprire (il bagno per la precisione, perchè dovevo mettermi le scarpe e uscire).
La violenza era verbale, era emotiva, era psicologica.
Così sottile che faticavo sempre a rendermene conto e mi dicevo che era solo un brutto momento, che sarebbe passato presto.
Al lavoro avevo attacchi di panico e le mie colleghe ormai non facevano nemmeno più domande, semplicemente mi davano il cambio per andare a piangere in bagno.
Dimagrivo sempre più, avevo gastriti, cistiti, sbalzi repentini di pressine, febbri improvvise e violente per giorni, perdevoi capelli a ciocche.
Ero nervosa, isterica, soggetta a sbalzi di umore…avevo un esaurimento nervoso in corso e non me ne rendevo conto.
Le giornate belle non erano quelle belle per davvero, lo erano quelle in cui era meno peggio fra noi.
Poi venne il giorno in cui ci fu l’ultima goccia e feci le valigie.
Non ricordo nemmeno per cosa litigammo, fatto sta che feci le valigie in meno di tre ore, mentre lui era fuori, e quando tornò a casa non mi trovò.
Diede di matto, si ubriacò oltre il limite, facendo telefonate minatorie a me, ai miei fratelli che erano con me quella sera per raccogliere i pezzi frantumati di ciò che restava della mia autostima.
Ci vollero circa tre mesi perchè l’inferno finisse.
Durante i quali non tornai mai più a dormire in quella casa, se non per andare a fare le valigie a lui (sì, avete capito bene), prendere le ultime cose che avevo scordato, imbiancarla e ridarla così alla proprietaria.
Durante i quali distaccarsi da lui fu difficile, durante i quali ci furono degli incontri fra me e lui, occasionalmente parvenze di sesso.
Avevo solo lui perchè mi ero isolata/mi aveva isolata da tutti quelli che frequentavo prima, avevo dipeso da lui per anni, non era semplice metabolizzare il tutto e decidere che non avrei voluto più dipendere da lui…ma in un qualche modo ce la feci.
Un giorno gli dissi che continuavo a frequantarlo solo perchè avevo pena di lui perchè mi sentivo in colpa per essere così decisa nel non voler tornare indietro a nessuna condizione.
Fu l’ultima volta che lo vidi intenzionalmente.
Seguì qualche mese di paure, mesi in cui girai con lo spray al pepe in borsa e una specie di arma bianca sempre in tasca perchè ero terrorizzata (probablimente anche perchè la mia rezione emotiva fu molto violenta, ogni volta che si faceva vedere io rivivevo mentalmente tutti gli episodi più brutti della nostra storia e stavo male) appostamenti fuori di casa, fuori dal lavoro, telefonate nel cuore della notte, lettere lasciate nei posti che frequantavo, minacce verbali e fisiche quando mi vide in giro con un amico che lui scambiò per altro, ma l’inferno finì quando si trovò un’altra donna.

Vi ho raccontato tutto questo non perchè voi possiate gridare “al mostro”.
Non voglio che vi passi questo messaggio, perchè voglio essere onesta al cento per cento.
Sfumature belle ce ne sono state agli inizi, e lui era un persona potenzialmente splendida perchè, nonostante tutto, piena di capacità ed estremamente intelligente.
Però era una persona che aveva paura dell’amore, perchè l’amore è per i deboli.
Era un persona non abituata ad amare.
E una perona abituata a non amare, non saprà amare una persona che non si ama.
Lui non sapeva amare e non poteva amare me, che mi odiavo e non mi stimavo.
Come poteva “cambiare” per me, che mi piegavo senza volontà agli eventi della nostra storia senza oppormi mai?
Senza mai dire la mia per davvero, senza far valere le mie idee e i miei diritti per paura?
Come potevo pretendere che “cambiasse” e mi dimostrasse che valevo la pena di un cambiamento se io stessa non “cambiavo” per me e continuavo a spegnermi sempre di più, limitandomi ad invidiare e disprezzare chi invece lottava per se stesso e si realizzava?
L’errore fu mio, per inseperienza e per assenza di autostima, per non amarmi per la paura di non essere abastanza brava da saper stare da sola e badare a me stessa.
Ma in un qualche modo l’inferno finì.
E io fui libera di sperimentare me stessa, di mettermi alla prova, di riscoprirmi, di mettermi in gioco,  di amarmi e accettare anche questi periodi meno rosei della mia vita.

Fino a un paio di anni fa mi era difficoltoso ammettere questa mia cecità, questa mia debolezza estrema; mi colpevolizzavo per non essere stata forte, decisa, in me…e averci buttato anni preziosi di gioventù, bruciandoli in una convivenza che di buono, pensavo, non mi avesse portato nulla.
Invece oggi mi ritrovo più forte, segnata dal tempo e con cicatrici, ma senza paura di ammettere le mie debolezze, e fortemente motivata a cercare di far splendere sempre la parte migliore di me.

Amatevi, rispettatevi, vogliatevi bene.
Accettatevi per quello che siete, e siate orgogliose di ogni talento che avete dentro, che sia dipingere, cucinare o persino saper parlare o saper tagliare la pizza.
L’Amore dà la forza, dà la pazenza, dà il perdono, dà luce e vita.

#midirasnur
#iononohopauradidirlo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Scroll to top